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PASSIO 2020 - IL MESSAGGIO DEL VESCOVO

Mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara

Sant’Agostino ha introdotto la bella immagine delle due città: la città dell’Uomo fondata sull’amor sui (l’amore di sé), la città di Dio animata dall’amor Dei (l’amore di Dio). Sono due modi di essere nel mondo che lottano e crescono insieme l’uno con l’altro. Non è la vita materiale contrapposta alla vita spirituale, né la città di quaggiù che è specchio o alternativa alla città di lassù. Il cielo è guardato dalla terra e la terra riflette il cielo. L’una è incarnata, l’altra è escatologica, ma entrambe convivono insieme, per camminare sotto il sole della speranza. In questo sta la bellezza della città: essa custodisce il bisogno di vita degli uomini, ma deve aprirsi all’alto che illumina la vita formicolante sulla faccia della terra. L’amore di sé, la promozione della vita, del lavoro dell’uomo, dei buoni legami, della prossimità accogliente vanno vissute come forme dell’amor sui, ma per essere spazio di autentica socialità hanno bisogno dell’amore di Dio, della fonte zampillante di carità, di misericordia, di perdono, di comunione, di tutte le forme dell’amor Dei.

Osserviamo la nostra città: essa un tempo si radunava attorno a san Gaudenzio e al Broletto, attorno alla Cattedrale e al Comune, al luogo d’incontro della comunità spirituale e alla casa della compagine sociale. Entrambe erano custodi della memoria e dell’identità, della storia e del presente. Per aprire nuove vie di futuro. Attorno al Comune e alla Chiesa si svolgeva la vita brulicante della città, con i suoi sogni e le sue passioni, con i suoi partiti e i suoi confronti, con la forza dei giovani e la sapienza degli anziani, con la generosità delle donne e la solerzia degli uomini, con la cura dei deboli e l’operosità del lavoro. E aveva nel calendario delle feste i momenti per celebrare la memoria, far crescere l’identità, sperimentare la gioia, coltivare la fraternità, partire per nuove avventure. E per sognare il futuro, anche nel momento della tragedia e del travaglio, come il 26 aprile del 1945, quando la città fu salvata dal vescovo e dal sindaco, cemento di tutte le forze di libertà.

Non bisogna disperdere il nostro patrimonio, sostituendo i templi della memoria e dell’identità con luoghi anonimi del mercato e del denaro. Se fossero solo questi i luoghi del nostro vivere sociale, noi saremmo tutti omologati, così uguali da non poter essere diversi. Anche l’amore di sé sarebbe ridotto a funzione e merce di scambio. Per questo l’amore di Dio ci salva dal trasformarci in macchine e prodotti tecnologici, sempre in contatto ma poco in relazione, molto vicini senza essere prossimi. La città dell’Uomo è il luogo della socialità e dell’amicizia, la città di Dio è lo spazio della fraternità e della carità. Divise o in conflitto portano morte alla città dell’Uomo e tristezza alla città di Dio. Insieme crescono nel mirabile intreccio di cura della civiltà e desiderio di Dio.